Progetto NN-NoName: Naufragio di una Compagnia di Navigazione Teatrale

NN0:
Una premessa: coerentemente con lo spirito del progetto, rispondiamo alle domande che ci vengono poste in modo corale. Nessuno di noi è citato per nome, e ciascun partecipante del progetto darà il suo personale punto di vista. Non poteva essere altrimenti; diversamente, se fosse stato solo un portavoce a rispondere, saremmo ricaduti in una forma “individualistica” che è proprio quella che, con questa sperimentazione, vogliamo evitare. Capiamo che questo possa creare difficoltà in sede di “comunicazione” nella forma indicata forse dalla rivista, ma d’altro canto può anche rappresentare un motivo di riflessione di curiosità per il nostro progetto.

1 - Naufragio di una compagnia di navigazione teatrale: parlaci del progetto e definisci la tua idea di “naufragio”.

NN0: Il progetto ha più livelli di sviluppo: abbiamo lavorato sul tema dell'identità, e delle sue odierne aberrazioni; sul tema del rapporto con lo spettatore/pubblico/utente, aspetto oggi più che mai sconosciuto e sottovalutato nel suo rapportarsi con la partecipazione/acquisto del prodotto culturale. Abbiamo scelto anche di confrontarci con un tema attualissimo, quello delle forme attuali di comunicazione, mediatiche e personali, e delle forme (reali oppure illusiorie) di partecipazione alla comunicazione stessa. Molto in breve: la realizzazione pratica prevede 3 attori mascherati, che non sveleranno le loro identità, così come il regista e tutti gli altri partecipanti del progetto. Partecipanti che, anche per tutta la realizzazione dello stesso, non hanno avuto modo di riconoscersi reciprocamente, se non nella fase finale della prova generale. Il sottotitolo dello spettacolo dice: “rinunciare al proprio nome di battesimo per dare (il) corpo ad un sistema diverso di valori”. Abbiamo indagato se fosse possibile realizzare, anche nel mondo reale e non solo in Rete, identità senza nome, vere e presenti nell’essere corpo e gesto, ma capaci come nella Rete di non possedere un’identità legata a volto, età, genere e storia. Un tentativo di assomigliare a quell’indefinito/infinito che, proprio perchè non cristallizzato in una sola forma identitaria, abbraccia tutto il tempo esistente.

NN7: Abbiamo lavorato anche su temi più specifici dell'ambito delle arti performative, quali ad esempio i meccanismi di produzione e autoproduzione di un prodotto culturale, del suo alimentarlo con il proprio tempo e con le proprie risorse, sul mettersi in gioco per uscire dall'area di confort nella quale spesso gli artisti si rinchiudono, smettendo, per necessità oppure per ristrettezza di vedute, di produrre veramente arte, spostando un po' più in là il confine del "già fatto" verso il "ancora da provare".

NN0
: A proposito invece dell'idea di Naufragio, rimando a qualsiasi quotidiano che possiamo facilmente trovare nelle edicole: non c'è pagina che non riporti almeno un esempio di Naufragio, che sia personale, sociale, economico, culturale. Tutti viviamo i nostri Naufragi. E con questa nostra performance non vogliamo offrire facili risposte, bensì far prendere coscienza, aprire gli occhi su questo concetto, che può essere nascosto sotto al tappeto come la polvere che non si vuole spazzare, ma che prima o poi ritorna, sempre: nessuno di noi sfuggirà ad un Naufragio, prima o poi. Ma potrà essere determinante il modo in cui vorrà affrontarlo.

NN2: Del progetto preferisco sia l’ideatore a parlare (NN0, ndr). Quanto all’idea di “naufragio”, mi fa venire subito in mente un’impresa fallita, nata in una condizione avventurosa, col costante rischio della disfatta, che può essere determinata da svariati fattori. E mi viene in mente l’Italia, da sempre “nave sanza nocchiero in gran tempesta”. Il naufragio è anche la dissoluzione di un gruppo unitario fino al momento della “catastrofe”, ed è proprio qui che il parallelo con le compagnie teatrali assume più rilievo. Oggi in Italia le compagnie teatrali che “naufragano” sono la stragrande maggioranza: i fattori scatenanti sono sempre vari, ma più di tutti la mancanza di prospettive future. Le compagnie sono praticamente tutte squattrinate, e quelle sprovviste anche di un qualche sostegno - magari politico - muoiono sul nascere o poco dopo. Tutte le porte sono aperte finché si resta “studenti” e si portano soldi (scuole, laboratori, workshop), ma non appena si passa al ruolo di “professionisti” le cose cambiano drasticamente. Il Naufragio è senza alcun dubbio la situazione base dell’attore italiano privo di “aiuti dall’alto”: è possibile, con tanto sforzo, diventar superstiti su una piccola isola sperduta e riuscire a viverci abbastanza bene, ma l’ago della bilancia pende molto di più dalla parte delle vittime.

2 - Perché è fondamentale per voi non assumere alcuna identità?

NN0
: Non è fondamentale. In questo progetto lo è stato, ma ciascuno di noi vive la sua identità, in altre mille forme e in altri mille progetti. In questo Naufragio di una Compagnia di Navigazione Teatrale, l'assenza di identità è stata una scelta per spostare l'attenzione del pubblico su un altro ordine di valori; senza dare spazio, sicuramente in modo un po' estremo, ad un problema rimosso ma presente che vede il pubblico presente agli spettacoli per chi è in scena, prima ancora che per il contenuto. Non vogliamo demonizzare questo aspetto, umano e dai risvolti anche positivi; ma, sempre nell'ottica di una aderenza assoluta all'obbiettivo di indurre il pubblico a riflettere sul concetto di identità oggi, abbiamo scelto di provare rimuoverla completamente. Linea fondamentale del progetto NN NoName è il tentativo di dissociare completamente il contenuto del testo e il suo valore dal richiamo personale che l’individuo-attore/attrice ha con il suo pubblico. Non citare chi effettivamente è sulla scena e non renderlo riconoscibile non vuole mortificare il gesto attoriale e la personalità dell’individuo, ma permettergli di sperimentare l’azione pura, con un pubblico senza preconcetti o aspettative legate alla storia e alla personalità propria dell’attore. Impone di essere non ri-conosciuto ma conosciuto in quel momento e in quell’atto. Dunque centrale il concetto di identità: concetto che, esplicitamente o meno, è sottostante e fondante a gran parte dei più lodevoli successi e dei peggiori fallimenti della storia della nostra società. E per sperimentarlo e giocarci, quale luogo di espressione artistica migliore del teatro, che continuamente incarna, contratta, veicola identità in scena e fuori dalla scena?

NN2: Tutti gli artisti amano vedersi riconosciuto il merito del proprio operato: si può anche dire che spesso si è mossi in maniera determinante da questa spinta ego-centrica. Tuttavia oggi, nell’Italia martoriata dalla mala-politica che ha tanto influito su costume e società, abitudini e mentalità, siamo giunti ad un punto in cui nell’arte è molto più importante il nome dell’artista che non l’opera in sé, l’idea. Gli italiani hanno bisogno di aggrapparsi ai nomi e non sono interessati agli sconosciuti, nonostante vi sia la possibilità che questi ultimi siano meglio preparati e più talentuosi dei “soliti noti”. Tutto questo è stato alimentato soprattutto dalla pratica del nepotismo e “raccomandatismo”, l’anti-meritocrazia onnipresente, insomma. Una delle peggiori conseguenze di ciò, in teatro, è il fatto - sempre più frequente - che pubblico e critici applaudono con fervore a qualsiasi porcata di spettacolo, quando è offerta da “grandi nomi”. E per le logiche di show-business tali “grandi nomi” hanno sempre le porte dei teatri spalancate da direttori che davvero non sanno rinunciare al guadagno facile a discapito della qualità. Pertanto, la nostra vuol essere una vera provocazione: lasciare il pubblico da solo, in rapporto diretto con l’opera (senza la mediazione di nomi/identità cui aggrapparsi) alla scoperta forse di nuove sensazioni e riflessioni riguardo il Teatro e gli addetti ai lavori del Teatro.

NN1: Certo quando si fa parte di un progetto in cui si crede si ha piacere di sponsorizzarlo e palesare la propria partecipazione, tuttavia è stimolante anche trovare il modo di farlo conoscere e coinvolgere sconosciuti o amici familiari e conoscenti senza rivelare nulla. Oltre alla poetica di NoName che sposo in toto, altrimenti non avrei aderito, trovo che la questione apra anche ulteriori spiragli. Porto quale esempio uno degli elementi di questo campo che purtroppo mal funzionano: il fattore ‘NOME’. Troppo spesso capita che attori bravi ma sconosciuti non vengano presi in considerazione in favore di ‘facce’ conosciute (magari non all’altezza) perché il nome funge da richiamo dando la certezza di fatturato al botteghino e spendibilità nella ricerca di finanziatori, spazi, compratori ecc ecc. Se l’esperimento avrà risonanza ho la speranza che possa essere una breccia nel sistema, possa far intendere che anche il ‘non-nome’ ha presa sul pubblico poiché ad interessare sono i contenuti, a cui imprescindibile si affianca la qualità.


3 - Mi pare di capire che il vostro progetto sia legato alla sperimentazione, allo “sperimentare l’azione pura”. Ma in cosa consiste quest’ “azione pura”?

NN7: Non si può parlare di azione pura. Forse non esiste, forse è uno stato che si raggiunge poche volte nella vita, e nemmeno soltanto grazie all'esercizio e agli anni di esperienza, forse non è nemmeno salutare, desiderabile. La nostra è una "tensione verso". Si può intendere, per "azione pura", una miriade di fenomeni. Quello della reazione psicologica e fisica immediata, le ben conosciute "reazioni istintive" che provengono dal nostro io profondo, senza che siamo noi a deciderle, perlomeno razionalmente. Si può intendere per "azione pura" un gesto performativo che non offre appigli allo spettatore, non si rifà ad un suo immaginario, ma pone una domanda. Ecco, noi vorremmo questo. Vorremmo che fosse il pubblico a mettere in pratica l'azione pura. A non confrontare quello che faremo con quello che si aspettano da noi, ma a prenderci come una domanda sulla quale riflettere. Qualcosa che non parla a quanto già il pubblico si aspetta, ma a quanto il pubblico ha in potenza di elaborare, ciascuno secondo le sue attitudini, quando uscirà dalla sala e ripenserà al nostro spettacolo.

4 - Se non è presente identità, spazio o tempo alcuno, cosa potrà trasmettere l’attore? Non avendo alcun legame, potrà almeno godere di uno “spazio legato all’immaginazione”?

NN0: In questo progetto - e sottolineo in questo progetto, perché in altri le nostre sperimentazioni vanno in direzioni differenti - forniamo al pubblico tutti gli elementi perché sia lui a ricostruire la storia, ad esserne il regista e il protagonista. Non rappresentiamo, bensì diamo tutti gli elementi affinché sia poi il pubblico a metterli insieme e a cercare delle risposte, delle interpretazioni. Non vogliamo convincere. Vogliamo aprire una scatola, dire al pubblico: "questi sono i pezzi", e lasciare che sia lui a metterli insieme. Noi non offriremo una visione dei fatti sul Naufragio di una Compagnia di Navigazione Teatrale; bensì faremo in modo che sia ben chiaro che esistono molte, contrastanti, possibili verità su questo fatto. Restituiamo al pubblico la sua sovranità, il suo diritto a scegliere.

NN2: C’è moltissimo che un attore può trasmettere, anche senza identità o altri elementi caratterizzanti così forti. Il testo da solo dà abbastanza materiale per ricostruire, grazie ad un esercizio di immaginazione (cosa oggi raramente concessa agli attori e al pubblico), un’ambientazione, una vicenda e degli scampoli di identità, seppur generica. E anche se “non ci mettiamo la faccia”, ci resta sempre la voce e il linguaggio corporeo. Non essendoci una partitura di gesti e movimento (una “coreografia”, se vogliamo), le parole d’ordine saranno “ispirazione” ed “organicità”, due capisaldi della vera recitazione, che oggi sempre di più vanno persi nelle paludi dell’artificiosità.

NN7: E’ pieno il mondo di attori che, con grande “identità”, non trasmettono al pubblico un benemerito fico secco, se non il proprio desiderio di successo e di riconoscimento. “Ecco, guardami, sono un attore” e vogliono indurmi ad ammetterlo recitando meglio che possono la loro parte per intrattenermi un’oretta. No, non è questo il nostro scopo. A me l’attore non deve “solo” piacere. Mi deve far pensare. Mi deve cambiare.

NN1: Non viene esplicitata “un’identità” quale noi la concepiamo, ovvero nome-cognome o tratti somatici riconoscibili, ma non scordiamo che l’attore NN indossando una maschera incarna un personaggio che prende vita con parole e gestualità: anch’essa un’identità seppur con forme diverse. Ne consegue che ad assumere maggiore importanza sia il ‘verbo’ ciò che viene detto, ciò che si palesa allo spettatore, in questo senso l’attore si fa veicolo (vi si può forse vedere un richiamo a Grotowski e altri ‘ricercatori’?).
E’ un’identità a breve durata la cui esistenza nasce e viene ‘vissuta’ appunto, in uno spazio condiviso con il pubblico e in un tempo preciso ‘hic et nunc’ – vestirsi e spogliarsi di una pelle momentanea come serpente. Forse proprio con questo stratagemma (o semplicemente onestà artistica?) ciò che viene trasmesso assume un valore maggiore poiché il messaggio arriva puro e incondizionato [ndr NN1: non condizionato cioè dalla ‘faccia da mostrina’]. D’altronde ogni attore dovrebbe de facto spogliarsi della propria identità per indossare forme altre, quindi mai in scena dovrebbe esistere l’attore-uomo in quanto identità anagrafica – cosa che ahimè al giorno d’oggi viene troppo spesso accantonata. Quindi NoName rispetta in maniera fedele il ruolo dell’attore in quanto tale: le aspettative non devono nascere da chi siamo ma da cosa sappiamo fare. Riguardo all’immaginazione, essa a mio parere si fa elemento imprescindibile della condizione umana in generale, quello che permette di vivere e andare avanti: credere nei propri sogni e realizzarli. In teatro poi non si limita a stagnare dalla parte di colui che attua: vi è un canale di trasmissione per cui a fare la sua parte vi è anche lo spettatore. Come dimenticare gli insegnamenti del Bardo? (ndr NN1: Shakespeare) non si ha certo bisogno di eserciti e cavalli sul palco, l’evocazione di battaglie e scenari di ogni tipo è bastevole a stimolare l’immaginazione degli astanti. Questa è la magia del teatro, non servono scenografie dispendiose e barocche (mi viene in mente tra i tanti nuovamente Grotowski con “
Per un teatro povero”).


5 - E il pubblico avrà un suo ruolo, un suo spazio, un’identità o al contrario, resterà passivo di fronte a questa performance?

NN0: Da un punto di vista strettamente teorico, le risposte precedenti già specificano come il centro dello spettacolo sia il pubblico. Un centro tutto mentale, interiore. Da un punto di vista invece tecnico, le cose si fanno più difficili: non puoi obbligare qualcuno a partecipare. Puoi mettergli davanti le regole del gioco, allettarlo, ma la scelta finale se entrare nel gioco o meno è libera e lasciata allo spettatore stesso. Quello che possiamo fare noi è preparare tutto affinché questa partecipazione avvenga: in modo mentale, oppure fisico. Naturalmente, e in perfetto accordo con questo, lo spettacolo sarà Creative Commons: stiamo dicendo cioè al pubblico "prendetelo/riprendetelo con macchine fotografiche e telecamere, e fatene ciò che volete." E' del pubblico. Noi siamo i servi di scena di quello che già avviene normalmente in sala, tra una poltrona e l'altra. Lo spettacolo, nelle sue varie sfaccettature, vuole riproporre al pubblico la centralità del "qui e ora" rispetto alla riproducibilità infinita dell'esperienza, o sedicente tale, degli altri media. Con l'ausilio del mascheramento dei suoi attori, propone inoltre al pubblico, in tutte le sue contraddizioni, il lavoro mentale del passare dalla domanda "Chi lo sta dicendo" a "Che cosa sta dicendo", e infine "Perché". Se nel teatro antico la maschera era il personaggio, oggi la maschera ne rappresenta la sua più piena e controversa assenza.

NN7: Non dimentichiamo una delle caratteristiche di questo spettacolo: il pubblico sarà pagato per partecipare. Provocazione? Riconoscimento del tempo speso con noi? Rimando al fatto che il pubblico, negli spettacoli televisivi, è pagato per recitare la parte di pubblico? Sottolineatura del valore del pubblico e della sua centralità? Anche in questo caso, noi forniamo un piccolo rompicapo. E potrà risolverlo, a modo suo, solo chi parteciperà.

NN2: Per noi attori il pubblico sarà molto importante: diciamo delle cose, anche molto forti, che spingono spontaneamente a cercare un destinatario fisicamente presente, con diverse motivazioni a seconda del personaggio. Riguardo al ruolo passivo o attivo: questo genere di esperimento è sempre aperto a tutto ciò che può accadere, è l’universo del “qui ed ora” –anche se c’è un testo importante- pertanto se da parte del pubblico ci saranno interventi (è raro, ma non da escludere) verranno in qualche modo accolti e resi parte dell’evento.

NN1: Questo aspetto non è prevedibile perché è libero arbitrio dello spettatore scegliere come porsi di fronte alla performance. Per esperienza so che ci sono persone che si divertono nell’essere attive e chiamate in causa, altre più schive si tirano indietro preferendo la barriera della quarta parete. Le reazioni che la gente può avere possono essere varie anche riguardo al gradimento o alla condivisione o meno di testo e modalità di mise èn scene. Quello che posso dire in merito a ruolo-spazio-identità del pubblico, visto da una voce recitante, è che sicuramente sia il singolo che l’insieme degli spettatori sono materia/entità fondamentale e fondante; d’altronde c’è chi disse che per fare teatro basta essere in due: un attore e uno spettatore, uno che parla uno che ascolta. Da parte propria ogni attore sceglie come relazionarsi e se vedere il pubblico come interlocutore attivo passivo vero finto rivolgersi appunto con la propria verità o esser fallimentare (volutamente da ruolo) nella creazione di una relazione.. infinite sono le possibilità di gioco, e da entrambe le parti. Di qualunque natura sia il rapporto, cmq un rapporto c’è , un legame si crea; questa la speciale magia che invece manca al cinematografo, dove l’elemento umano e diretto viene meno. Potrò riscontrare osservazioni e considerazioni ulteriori durante e dopo la grande Prova.


6 - Ultima domanda: pensate di continuare con questo tipo di sperimentazione?


NN2: La sperimentazione, per definizione, non può diventare routine: è qualcosa a cui il pubblico non si deve abituare o perde la sua forza. Ma non escludo future occasioni, se l’idea è buona come questa del “Naufragio”.

NN1: Sicuramente quello della sperimentazione è un campo che personalmente mi interessa molto. E nel caso specifico di NoName posso dire che proprio la particolarità dell’esperimento dà adito a esser portato avanti non in modo ripetitivo, bensì per spingersi oltre, osare, scoprire nuove forme sia nell’attuazione sia nella risposta del pubblico che ci si aspetta variegata. Lo considero un progetto che non si cristallizza ma, facendo richiamo a espressioni pirandelliane, come lava e magma è in continua mutazione.


NN0: Assolutamente no. Sicuramente lo spettacolo andrà in tournée, questo sì. Forse useremo ancora le maschere, se troveremo altri aspetti da indagare che ne prevedono l'uso, oppure vanno ad incontrare questa forma di performance con i contenuti che vorremmo studiare e provare a mettere in scena. Ma non faremo di questo un espediente che "tira" pubblico nelle sale, non sviliremo il suo valore per venderlo e riproporlo troppo a lungo facendo leva sul suo essere strano, atipico. Non stiamo cercando una soluzione ai nostri problemi, un'isoletta felice sulla quale rifugiarci. Non ci consideriamo arrivati ad un traguardo, bensì questa è una tappa. Proveremo ancora, proveremo altre strade, siamo continuamente alla ricerca.