L'identità è un'illusione.
L'opera d'arte "visiva ma aperta" proposta da P-Ars, dal titolo "L'identità è un'illusione", dà al pubblico la possibilità di intervenire direttamente sull'opera, in un gioco partecipativo, cooperativo oppure dissacrante rispetto all'intoccabilità dell'arte, e del lavoro dell'artista oggi. Lavoro che, se da un lato spesso vuole affermare la personalità dell'artista e consolidare il suo ego con un ritorno di successo e notorierà, dall'altro spesso lo vede scendere a patti con temi e modalità che nulla hanno a che vedere con l'importanza che l'arte dovrebbe avere oggi nella nostra società. Il sospetto che si è voluto inoculare nello spettatore è quello che non è più l'arte ad intervenire sulla società dei consumi, ma la società dei consumi sull'arte.
A disposizione dei visitatori della mostra sono stati messi pennarelli indelebili con i quali disegnare oppure scrivere sul collage, costruito ad hoc per ospitare diverse possibili modifiche da parte del pubblico, con spazi vuoti e relazioni da intessere tra un elemento e l'altro. Il collage presentava un insieme di immagini tratte dalla cultura pop, e alcuni dettagli di quadri invece presenti, ad esempio, nelle gallerie di tutto il mondo, da Gaugin a Monet fino agli affreschi di Michelangelo.
Gli interventi del pubblico sull'opera, ad oggi, sono stati a volte dissacranti, a volte integrativi, a volte in linea con il tema proposto, quello dell'illusione dell'io, altre volte molto eterogenei nella decisione di intervento presa. Il confronto è stato duplice: da un lato con opere ritenute "intoccabili" e dunque sul tipo di approccio che lo spettatore, diventato performer egli stesso, ha intrattenuto con esse; dall'altro la riflessione proposta è stata quella del tratto del performer che sarebbe rimasto sulla tela, cioè quello che di lui sarebbe stato visto dopo, dagli altri spettatori, e su quello che del suo "io" sarebbe stato percepito.
Nell'anonimato di uno scarabocchio con un pennarello indelebile, il pubblico può decidere di portare ordine oppure disordine all'interno del contesto del collage, che accostando immagini delle culture commerciali (che spesso vengono proposte come opere d'arte, nella forma e nella risonanza che hanno) e immagini delle opere ritenute "sacre" nella storia dell'arte, chiede al pubblico di diventare protagonista, e di esprimere un giudizio di prospettiva ottimistica oppure pessimistica sull'arte oggi.
La celebrazione dell'io, in fondo, non preserva l'io dalla sua trasformazione, dal suo rimescolamento, dal suo doversi adattare alle forme stesse che permettono questa celebrazione; ad essere celebrato, dunque, non è più l'io, ma lo stesso meccanismo che lo porta alla notorietà.
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